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- 1975: il '68 delle donne
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L'OPIS:istituzione totale




Fummo lavati e sepolti,/odoravamo di incenso.
E, dopo, quando amavamo, /ci facevano gli elettrochoc /perchè, dicevano, un pazzo /non deve amare nessuno.
Alda Merini declama Terra Santa e denuncia le violenze subite in manicomio e la condizione delle donne,
in particolare al Sud, in Puglia, a Taranto, dove fu internata.
Dove la città allora finiva e cominciava a perdersi nella campagna ondulata salentina, già dagli inizi del '900, c'era l'OPIS, istutuzione totale, temuta dagli uomini e dalle donne di Lecce e dei dintorni, che copriva un territorio interprovinciale comprendendo anche Brindisi e Taranto. Nei tempi noti dai loro racconti come quelli ''prima della guerra'' i ragazzini e le ragazzine, prima del tramonto si radunavano indugiavano nei pressi, sui muretti là intorno, per sentire le urla dei pazzi , che a quell'ora sembra si levassero altissime. In seguito l'orrore si sarebbe azzittito con l'uso di chimica, macchine elettriche e altre torture.
Nella terra del ''venire a patti'' con il male e la melanconia che ti possiede, della coreutica e dei musici chiamati a liberare le fanciulle, della magia che cura e guarisce, la ''scienza'' della psiche si presenta e colpisce come un intruso ottuso, ignorante e temuto. Il iManicomio, mai considerato come ''luogo di cura'', è visto e vissuto come reclusione, pena o minaccia di esclusione e perdita, di sè, del mondo e della stessa vita.
Ci racconta Stefanachi su Carmelo Bene '' Io posso dire, da psichiatra, che faceva parte di quella categoria che noi classifichiamo come ''personalità psicopaticihe' non di psicosi nel vero senso della parola ... ma, l'ha detto Seneca: nessu grande genio è stato privo di un pizzico di follia''. E' risaputo però che da Lecce Carmelo fugge dopo che ''il padre, sfruttando la complicità di un primario dell’ ospedale riesce a farlo internare in manicomio per un paio di settimane al solo scopo di scoraggiare il suo matrimonio con la Rossi, la quale subisce anche esplicite minacce.'' (nota 1)
All'Istituzione piaceva ''rimettere a posto'' le teste, anche quelle dei rivoluzionari sessantottini e degli artisti, infatti toccò di peggio ad Eduardo De Candia, Pittore “I miei genitori erano colpevoli, ma i medici erano ancor più fessi e colpevoli di loro” ricordava a chi, nelle notti d'estate, lo incontrava in piazza Duomo, raccontando degli elettrochock, il suo incubo, le docce gelate, e tutto il resto patito là dentro . Se qualcuno poi gli diceva: ''Dai ...ormai sono chiusi i manicomi!'' lui rispondeva ''NON chiusi! APERTI!! Finalmente un giorno li hanno aperti!! Per obbligarci alla memoria di quello che era stato.
Si era uccisa nell'OPIS pochi giorni prima dell'8 marzo del '78 una giovane donna, sposata, portata là, internata con ''sintomi'' d'isteria. Allora bastava una richiesta del coniuge. Per l'ennesima volta quindi non con una diagnosi ! Facevano così, come dire ora arrestiamo un sospetto, un timore, la stanchezza o la noia di un altro.
Sulle pagine della ''Tribuna del Salento'', indignato, di questa prassi aveva parlato Antonio Maglio e aveva anche registrato gli interventi dei medici di psichiatria Democratica, che aveva una sezione a Taranto e qualche riferimento a Lecce: forse uno di loro e' quel giovane medico che si vede nel nostro filmato, alla finestra, a guardarci, noi del corteo femminista, quasi ad assentire mentre gli altri cercano di portarlo via.
Noi sapevamo cos'era l'OPIS e che, come si diceva allora, fosse anche ''feudo democristiano''. Qualcuna era particolarmente interessata e lo sarà anche dopo, proseguendo negli studi, a quelle tematiche di cui il movimento delle donne si stava occupando (come nella sezione di quel libro, Coscienza di sfruttata, che avevamo letto ) Oppure seguiva le lezioni di Psicologia all'Università, facoltà di filosofia. Ma si trattò di qualcosa di più profondo, quel dramma apriva porte e finestre sul privato tragico di una donna qualsiasi, uccisa da una violenza di stato che si rapportava al contesto solo per corromperlo e renderlo complice: comunità, famiglie, rapporti interpersonali assoggettati e utilizzati negli aspetti piu' deteriori di quel modello patriarcale che noi stavamo rifiutando. Il monito era rivolto a tutte: socialmente la diversità deve muoversi in schemi imposti e subiti in silenzio, a cui sia considerato obbligatorio conformarsi, pena l'esclusione fino all'annientamento.
Quello che definitivamente ci fece decidere all'azione di contestazione dell'8 fu un manifesto di lutto, affisso dalla direzione, in cui l'Istutuzione annunciava a piageva la morte della sua vittima. Vedendolo affisso lì, sui muri d'accesso del manicomio, la notte dell'attacchinaggio del nostro manifesto nei giorni precedenti l'8marzo, ne fummo scandalizzate, indignate, offese. Il corteo sarebbe passato prima dall'Ospedale Civile e quindi da quel luogo di pena: le immagini del filmato fermano la nostra fortissima reazione.
E così scrivemmo sul volantino distribuito in città durante il corteo di quella giornata del marzo '78:
Un giorno rivoluzionario from GenerAzioni Settantotto on Vimeo.
dal minuto 7.02 la contestazione del corteo che passa dall'Ospedale Civile e quello Psichiatrico
Leggi anche, dal nostro archivio, materiali convegno nazionale 1978
Donne e Follia - di Franca Ongaro Basaglia
altri link di approfondimento:
Un esperimento innovativo ... peccato, di esclusivo genere maschile -
Strudà (Le)1976
Altri riferimenti: https://culturasalentina.wordpress.com/2010/10/29/edoardo-de-candia-semb...
http://www.aldamerini.it/biografia/
Claudio Lolli - Vecchia Piccola Borghesia
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Intervista al Prof. Luigi Stefanachi, psichiatra, su Carmelo Bene |