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Lidia Campagnano per "Le altre"




La prefazione di Lidia Campagnano per "Le altre" di Rossana Rossanda
Ci sono figure di intellettuali-donne che percorrono carsicamente i travagli delle culture, ma quando il tempo è tornato ad essere un tempo in cui sono convocate, allora si ripresentano autorevolmente. Una di queste è Lidia Campagnano che, oltre ad essere una amica e compagna di politica di Rossanda, ha scritto per “il manifesto”, per Lapis e per chissà quante altre testate. Ora ci offre l’introduzione alla riedizione del libro di Rossana Rossanda, Le altre, Einaudi ed.
Eccola:
Correva l'anno 1979 quando Rossana Rossanda, nell'introduzione a questo libro, scriveva: "Era venuto il momento in cui ero io a parlare a vuoto, inascoltata, incapace di farmi capire". Iniziavano gli anni Ottanta, giungevano (malamente) a fine le esperienze politiche organizzate della nuova sinistra, si piegavano le lotte operaie a una nuova rivoluzione industriale, la cultura politica diffusa arretrava su posizioni sempre meno egualitarie, sempre meno impegnate, come per una sorta di pentimento. Riflusso e lotta armata zittivano tante voci. E quella breve frase, all'apparenza un sentimento, un cenno autobiografico, in realtà forse a tutto questo si riferiva: a questo tempo del finire di qualcosa senza che si intravvedesse altro, un futuro (o una speranza).
Ma una militante - come lei era - non si ferma alla malinconia di una constatazione, cerca di scomporla e ricomporla, di lavorarla, di ragionarla, di farla parlare. E naturalmente non pensa di fare da sola: apre un cantiere e invita a lavorare con lei.
Questa volta nel cantiere invita soprattutto le donne, soprattutto le femministe. Le donne che in realtà avvertivano, proprio allora, l'incomprensione e di più: la sordità, il rifiuto, l'attacco esplicito di certi compagni di un'avventura di militanza e di vita, fino a indurle ad abbandonare in massa le formazioni politiche che avevano sperato di rivoluzionare a fondo con le scoperte femministe. E lei le invita, le interroga su quasi tutto ciò che le preme sospettando che le loro intuizioni possano illuminare in qualche modo il faticoso passaggio. Si dichiara "altra" da loro e inizia, passo dopo passo, a render conto della propria storia differente: della propria storia di emancipata, di partigiana e di comunista "del secolo scorso" come dice il titolo della sua autobiografia. Offrendola a un'analisi critica e insieme difendendola mentre difende "i colori della politica".
Per comprendere questo cantiere - aperto approfittando della possibilità di condurre una trasmissione radiofonica, come racconta - forse è bene prestare attenzione anche alla prosa, o al tono della voce che risuona in queste pagine - che sono spesso miracolosamente belle, di vivace lettura, benché si tratti di sbobinature. C'è anche qualcosa di gioioso, in questo riportare dialoghi con persone vecchie o giovanissime, donne e qualche uomo (un leader comunista e un operaio diventato pescatore). Si avverte il piacere di chi va a caccia di scoperte, e anche la tenerezza che le donne a volte si regalano reciprocamente per meglio avviare un dialogo.
Ogni voce, o quasi, ne esce straordinariamente accolta e valorizzata, che si tratti della "ragazza con la motocicletta", che non dice il suo nome, o di Adele Faccio, della più sommessa e meditativa delle femministe o di una sindacalista abituata al megafono o di un'antropologa abituata a una cattedra. C'è anche un cameo indimenticabile, l'incontro con Camilla Ravera che restituisce a una fondatrice e dirigente del partito comunista, tuttora sottovalutata nella memoria di questo paese, la sua grandezza mai esibita di interlocutrice privilegiata di Gramsci, di responsabile unica del Centro interno quando tutti gli altri erano in carcere o al confino o in esilio, ascoltata da Lenin quando gli riferisce le sue (corrette) previsioni sulla durata del fascismo. Ma indimenticabile è anche il fantasma evocato di Rosa Luxemburg, ispiratrice e incarnazione, per sempre, di quel desiderio che tante donne, non viste e soprattutto respinte e cancellate (fino alla morte) hanno conosciuto e fedelmente seguito: quello di capire a fondo ciò che muove il mondo e ogni essere umano e di farne consapevolezza e azione, cioè politica. Sono le donne che hanno dato l'assalto al Mondo terreno e alla Storia.
Camilla Ravera, una militante. Come Rosa Luxemburg, come Louise Michel. Che cos'hanno in comune? Un ideale, certo (ecco una parola uscita dal lessico), un qualcosa che - tra l'altro? - crea uno specialissimo rapporto, una socialità che non è amicizia e non è amore eppure è qualcosa di caldo, di prezioso e di produttivo: il rapporto "tra compagni", per così dire. Ma hanno in comune, le militanti, anche un certo silenzio su di sé, un'attenzione rivolta ad altri e ad altro, un vedersi forse più acutamente degli uomini come un "frammento di storia" invece che come una preziosa e insostituibile identità. In un altra sede Rossanda ne scriverà così: "abbiamo guardato alla nostra vita come al minuscolo terminale di un arazzo immenso i cui confini si perdono nel tempo e del quale, ogni tanto, perdiamo il disegno".
Hanno dunque in comune, le militanti, un senso della storia e del mondo, o del tempo e dello spazio, come di ciò che ti afferra e ti plasma dall'inizio alla fine, che ti "rotola addosso". Puoi decidere di lasciarvi un'impronta, di resistere, di capire le cose e di lottare per cambiarle, ma non si sceglie di stare nel mondo e di stare nella storia. E l'intreccio di mondo e storia è il luogo di maturazione della politica.
Rossanda non cambierà questa sua posizione, questo senso delle dimensioni che è la sua scelta di vita. Eppure si mette all'ascolto delle femministe proprio là dove dichiarano che i tempi delle donne non sono i tempi della politica, in tutti i sensi. Non solo perché le scadenze della politica (il modo di ritmare e impiegare il tempo) escludono le donne impegnate nel lavoro di cura (cioè quasi tutte), ma perché esiste qualcosa che si può chiamare tempo della vita. Che è anche uno spazio, quello della vita personale e interpersonale, quello della vita intima e affettiva. E del pensarla: perché il pensiero femminista, la rivoluzione delle donne nasce da questo pensare (e potenzialmente trasformare e risignificarela vita interpersonale e intima). Qui sta, il tempo delle donne. E lo spazio, il mondo? Sempre qui, "tra" persone, "tra" uomo e donna . Tempo e spazio altri rispetto alla tradizione, ma non meno politici, al contrario: radicalmente politici.
L'interesse di Rossanda per quel "tempo della vita" non nasce all'improvviso nell'incontro col femminismo, e per capirlo basta la lettura di tante sue splendide pagine di commento alla letteratura, da quella mitteleuropea del primo Novecento fino all'Antigone di Sofocle. Sono pagine tutt'altro che secondarie per comprendere il suo pensiero, e in verità già raccontano di una crisi nel vivo di una relazione che il marxismo aveva indicato come "la prima relazione tra uomo e uomo", cioè la relazione tra uomo e donna. Ma ora è lei ad avvertire che il concetto stesso di persona, tradizionale chiave interpretativa di un intero orizzonte intellettuale, può cancellare precisamente quell'essere la persona due persone. Una delle quali spesso o è silente o è inascoltata. Ed è lei a pretendere che questo punto di vista che è anche la nascita di un soggetto politico dallo sguardo nuovo si proietti sulle radici come sulle conseguenze dell'umana convivenza, sul senso dei passaggi storici come sugli accadimenti del presente.
L'impazienza di Rossanda è evidente e più volte ribadita in queste pagine e altrove. E si accompagna a un crescente senso di solitudine, a una grande tristezza, specie quando la storia torna a "grandinare" ( e lei, solo con il suo compagno Karol può disperarsi quando le truppe cinesi muovono guerra al Vietnam appena liberatosi dall'invasione statunitense). Ma a essere ribadita è anche la sensazione che il femminismo stia portando alla luce questioni davvero radicali. Per prima cosa si stupisce della risonanza emotiva che le vecchie parole della rivoluzione francese, libertà, uguaglianza, fratellanza suscitano tra le sue interlocutrici. Soprattutto la libertà. Libertà è una parola bellissima, dice Paola Redaelli, una femminista milanese, quella che forse scava di più nella lacerazione tra politica e femminismo. Perché si tratta di libertà di essere. E se Rossanda dice di provare di fronte a queste espressioni un istintivo "moto di lontananza", sarà proprio questo modo di trattare quell'antica parola a suscitarle un giudizio stupefacente: "devo capire" scrive a commento "che nei luoghi dove si formano i grandi cambiamenti di coscienza - che non sono mai molto visibili, e le donne sono uno di questi luoghi - sta formandosi un'idea di libertà, anche individuale, che la borghesia non catturerà più".
E ancora: "Le femministe sono il segno d'una crisi generale di rapporti nella nostra società. E forse l'inizio di una uscita da essa" Perciò Rossanda pensa che il femminismo "non finirà" perché è il segnale del "punto di frontiera cui è arrivato il rapporto fra persona e politica". Ed è perciò anche uno strumento di rilettura del passato. Del fascismo per esempio: questione inesauribile, ideologia "meno di altre transitoria perché nasce in uomini e donne da istinti di aggressività e bisogni di rassicurazione inchiodati da secoli nel profondo ed esaltati in questo nostro secolo da grandi blocchi di interessi".
Il rapporto di Rossanda col femminismo, esplicitato per la prima volta in queste pagine, rimarrà come una filigrana in tutti i suoi testi successivi e gli incontri, i dibattiti, gli scambi con tante fra noi si moltiplicheranno fino alla fine dei suoi giorni. Nei quali amava intrattenersi su questioni grandi come montagne: anche per lei l'orizzonte del mondo si ampliava come questione del pianeta (senza perdere con ciò il carattere di questione sociale, questione del capitalismo) e come questione della possibilità o meno di un futuro. Riteneva con ragione che le "sue" donne non avessero ricucito "quella tela lacerata che siamo diventati", né avessero trovato rimedio alla "tormentosa incapacità di lavorare insieme", e allude al lavoro politico. Tuttavia erano perennemente in movimento in tutto il mondo, perennemente in prima linea ovunque si volesse più libertà e più uguaglianza. E altro ancora. Il pane e le rose, insomma: come nella canzone che chiuse l'ultima puntata del suo programma radiofonico. Canzone di donne e canzone operaia.