Aborto: la posizione del collettivo di via Cherubini- Milano

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ABORTO

perché non partecipiamo più alle manifestazioni

marzo 1975
 


Non abbiamo aderito né partecipato alla manifestazione per l’aborto libero e gratuito: sul problema dell’aborto noi facciamo un lavoro politico diverso. L’aborto libero e gratuito ci farà spendere dei soldi in meno e ci risparmierà alcune sofferenze fisiche per questo nessuna di noi è contro una riforma sanitaria e giuridica che tratti la prevenzione della gravidanza e secondariamente la sua interruzione, ma tra questo e il fare delle manifestazioni abortiste in generale, e per di più con gli uomini, ci passa. Perché tali manifestazioni sono in contrasto con la pratica politica e la consapevolezza che le donne in lotta hanno espresso in questi anni. Intanto diciamo subito che per noi l’aborto di massa negli ospedali non rappresenta una conquista di civiltà, perché è una risposta violenta e mortifera al problema della gravidanza e che per di più colpevolizza ulteriormente il corpo della donna: è il suo corpo che sbaglia perché fa bambini che il capitalismo non può mantenere ed educare. Si arriva alla ossessione americana: «siamo troppi, non respireremo più, non mangeremo più, ecc». E il problema da risolvere diventa quello del controllo delle nascite e non il cambiamento della struttura sessista e capitalista della società. Non possiamo essere complici di questa falsa coscienza. Il lavoro politico va orientato e la soluzione va cercata nell’affermazione del corpo femminile che è: sessualità distinta dal concepimento, capacità di procreare, percezione della sessualità interna, cavitaria: utero, ovaie, mestruazioni. E il rapporto con le risorse, la natura, la produzione e la riproduzione della specie va impostato nel senso della socializzazione anziché dei tentativi di razionalizzare, mantenendola, la struttura familiare, la proprietà privata, lo spreco. Comunque l’aborto non è «la fine di una vergogna». La maggioranza delle donne che abortiscono nella clandestinità non si vergognano di essere clandestine. Se c’è vergogna è per altre cose e per altre cause.
 

Anche le donne che hanno tutti i mezzi e sono in grado di accedere alla contraccezione meccanica e chimica, che hanno la possibilità di riflettere e ordinare la loro vita sessuale (in scelte, tempi, modi, forme e partner), ripetono il fenomeno del concepimento e il più delle volte dell’aborto, ripetono cioè la negazione e l’affermazione della gravidanza, ripetono esse stesse la violenza che le donne subiscono e si usano. Arcaismo invincibile delle donne — come pensa il razionalismo borghese — o per noi vitale indicazione di riflessione e lavoro politico.
 

Emerge qui, la contraddizione tra sessualità femminile e sessualità maschile, la realtà del dominio maschile sulla donna, e si palesa quanto il problema dell’aborto coinvolga la donna — a livello conscio e inconscio — nel suo rapporto con la sessualità, la maternità e l’uomo. La clandestinità dell’aborto è una vergogna degli uomini, i quali spedendoci negli ospedali ad abortire ufficialmente si metteranno la coscienza in pace in modo definitivo. Si continuerà come prima e meglio di prima a fare all’amore nei modi che soddisfano le esigenze fisiche, psicologiche e mentali degli uomini. Rimane un divieto di situarci in un’altra sessualità non interamente orientata verso la fecondazione. Il corpo della donna, la sua sessualità, il suo godere non esigono necessariamente quei modi e quelle forme di intimità (coito) che poi la fanno rimanere incinta.

Al contrario noi donne preferiamo: o essere lasciate in pace (le statistiche sulla frigidità parlano chiaro) o cercare godimento e gioia in altri modi. Allora, cosa dobbiamo volere e cercare per prima cosa? Il nostro star bene, il nostro piacere, la nostra gioia, oppure il rimedio (violento) ai gusti e alle preferenze di altri, cioè degli uomini? Esiste una profonda divisione ed una contraddizione tra l’uomo e la donna, trala sessualità maschile e la nostra sessualità. Non si risolve questa contraddizione eliminando il momento della lotta di sole donne (questo equivale a far prevalere ancora gli interessi degli uomini e a ribadire la subordinazione delle donne).

In caso con gli uomini potremo fare altre manifestazioni emancipatorie (per i servizi sociali, per il diritto al lavoro) ma non questa sull’aborto dove, come abbiamo chiarito, la contraddizione tra sessualità maschile e femminile esplode. Dove la violenza chirurgica sul corpo della donna non è che la drammatizzazione della violenza sessuale. Richiedere l’aborto libero e gratuito insieme agli uomini è riconoscere sì in concreto la violenza che ci viene fatta in questi rapporti di potere con la sessualità maschile, ma facendosene complici e consenzienti anche a livello politico.
 

Tra l’altro gli uomini marciano oggi per l’aborto libero e gratuito anziché mettere in discussione il loro comportamento sessuale, il loro potere fecondante. La nostra pratica politica non accetta di frazionare e di snaturare i nostri interessi: vogliamo fin d’ora partire dalla materialità del corpo, analizzare la censura che gli è stata fatta, e divenuta parte della nostra psicologia. Agire per il recupero del nostro corpo, per un sapere e una pratica diversa che parta da questa analisi materialista. Senza la quale analisi è ridicolo parlare di «libera disposizione del corpo», e il conseguimento delle riforme servirà a soffocare la nostra lotta anzicché svilupparla. Inoltre nemmeno dobbiamo ridurre, privatizzandolo in una dinamica di «gruppo politico tradizionale» il significato che nella nostra pratica ha il movimento delle donne: tutte le donne lo rappresentano in prima persona.
 

Comunicato stampa di UN GRUPPO DI DONNE DEL COLLETTIVO FEMMINISTA MILANESE (via Cherubini)

 

https://efferivistafemminista.it/2014/07/perche-non-partecipiamo-piu-alle-manifestazioni/

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